L’Unione europea sta lavorando a un pacchetto di norme per regolamentare Bitcoin e le criptovalute chiamato MiCA: Markets in Cripto Assets. Il voto del Parlamento Ue, inizialmente programmato per lunedì 28 febbraio è stato però rinviato a data da destinarsi per via delle polemiche sollevate da un particolare passaggio del documento.
All’interno del MiCA, infatti, è presente un paragrafo che condanna direttamente quella che in termini tecnici è definita la Proof-of-Work, ossia uno degli algoritmi cardine di Bitcoin. Secondo il documento, le società attive nei servizi collegati alle criptovalute non sarebbero più state in grado di lavorare con criptovalute basate sulla Proof-of-Work (come Bitcoin ed Ethereum) a partire da gennaio 2025.
Il problema principale è che la Proof-of-Work consiste, di fatto, in un indovinello matematico basato sulla crittografia. Mettere al bando questo algoritmo equivale a bandire la matematica: semplicemente non si può.
L’Ue farebbe bene a studiare quanto avvenuto in Cina dopo che Pechino ha deciso di bandire ogni aspetto di Bitcoin più volte negli ultimi anni. Le misure, seppur adottate da un regime che non è solito farsi scrupoli nell’applicare le proprie regole, sono risultate inefficaci e Bitcoin, di nascosto, è uno strumento ancora ampiamente utilizzato in Cina.
L’impossibilità di attuare concretamente i divieti sul proprio territorio – come si impedisce ai privati di eseguire una funzione crittografica? – renderà certi ban effettivi solamente a livello pubblico, tra le strutture e le imprese gestite direttamente dagli stati.
L’unico effetto di un divieto della Proof-of-Work in Ue sarebbe quello di eliminare in partenza i governi dell’Unione da una corsa globale a Bitcoin che in questi mesi sta iniziando a muovere i primi passi.