Un recente studio elaborato dalla Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro ha messo in evidenza che l’Italia è il paese europeo che con oltre 5 milioni di lavoratori autonomi ossia persone che lavorano in proprio ha in Europa la maggiore propensione a lavorare in proprio.
La loro composizione è molto varia, formata da imprenditori con diverse specializzazioni, commercianti, artigiani, lavoratori intellettuali, lavoratori della nuova economia che nel suo insieme contribuisce al quasi 22% dell’occupazione italiana.
Seppur tale fenomeno negli ultimi anni ha mostrato segni di riduzione (nell’ultimo decennio c’è stata un decremento di oltre il 5% degli occupati), il fenomeno continua ad essere significativo.
La riduzione degli occupati nell’ambito del lavoro autonomo è dovuta soprattutto allo stato di crisi che si è sviluppato a partire dal 2008 e detto fenomeno di riduzione si è comunque notato in tutti i paesi europei, con l’eccezione comunque di Francia, Gran Bretagna e Pesi Bassi che avevano adottato politiche fiscali incentivanti con la finalità di rivitalizzare il settore del lavoro autonomo. E ciò ha portato nel settore un significativo incremento occupazionale.
In Italia purtroppo nel settore del lavoro autonomo poche sono state le misure di aiuto al comparto nei cui confronti continuano a gravare incomprensioni soprattutto di natura ideologica che hanno origine a partire dagli anni sessanta e settanta.
La minore incentivazione ed il peso del rischio economico che si corre, ha fatto si che l’attrattiva verso l’autonomia si è notevolmente ridotta soprattutto in ambito giovanile al di sotto dei trent’anni. Tant’è che in quella fascia di età la riduzione dei lavoratori autonomi ha superato il 30%.
Tra i lavoratori in proprio una grossa percentuale non ha dipendenti, ma oltre l’80% di essi ha più di un committente.
Ciò che viene preso a giustificazione del fatto di avere pochi lavoratori alle proprie dipendenze è dovuto alla scarsità di lavoro, soprattutto per effetto della crisi che ha accentuato la concorrenza con un conseguente appiattimento dei prezzi, tanto da ridurre i margini da destinare a nuove assunzioni, oltre che da elevati contributi sociali che spesso fanno più che raddoppiare il costo a carico del datore rispetto a quanto il lavoratore percepisce in busta.
E’ necessario quindi che le istituzioni fermino questa pericolosa deriva che, congiunta alla fuga che dall’Italia fanno le imprese produttive le quali preferiscono andare a collocare le proprie sedi presso paesi più ospitali, rischia di portare l’Italia ad avere nel giro di pochi anni una popolazione fatta soprattutto da pensionati, lavoratori pubblici, studenti e percettori di sussidi assistenziali vari.