L’indice dei prezzi al consumo Usa segna un record storico ma la Fed tranquillizza i mercati. Forse perché l’inflazione aiuta i paesi debitori? L’alternativa Bitcoin Standard
Il sistema finanziario tradizionale ci ha abituato a pensare che una piccola e costante crescita dell’inflazione sia non solo positiva, ma anche un obiettivo da perseguire. Questo perché prezzi più alti significano crescita della spesa, dei salari, della produzione: insomma, dell’economia.
Lo scenario inverso, quello della deflazione, è invece visto con spavento. Questo perché spesso è causato da un crollo della domanda e, di conseguenza, dei salari, della produzione e così via. In breve: deflazione=recessione.
Chi ha in mente il Bitcoin Standard (approfondito di seguito) pensa invece che la deflazione possa non essere necessariamente negativa nel lunghissimo termine. Lo scenario – ad oggi mai verificatosi – è quello di un calo dei prezzi non guidato dal crollo della spesa ma dalla valorizzazione della moneta nel tempo. L’idea è che questa, un giorno che si sarà stabilizzata, potrà fungere anche da unità di conto.
L’inflazione negli Stati Uniti
L’indice dei prezzi al consumo statunitense (CPI) a ottobre ha fatto segnare un +6,2% rispetto allo scorso anno (record che non si registrava da 31 anni), mantenendosi superiore al 5% da cinque mesi consecutivi. Il dato sale a quasi il 15% se misurato con i metodi degli anni ‘80, come mostrato dal grafico seguente.
Il prossimo futuro non appare migliore. Il Segretario del Tesoro statunitense ed ex governatore della Fed Janet Yellen è stato costretto ad ammettere che l’inflazione resterà alta almeno per tutta la prima metà del 2022.
Se da una parte alcuni economisti sostengono che il rialzo dei prezzi sia dovuto alla carenza di materie prime globale, a sua volta causata dalla ripartenza post-pandemia, dall’altra il mercato ha qualche dubbio perché ad essere colpiti sono anche settori non interessati da chiusure e riaperture.
Un esempio è l’immobiliare: in media l’affitto di una casa negli Usa ad agosto costava l’8,5% in più rispetto all’anno scorso; il 9,1% in più a settembre.
Lo Stato ne beneficia
La costante negazione da parte delle istituzioni americane che l’imparagonabile emissione di nuovi dollari avvenuta negli ultimi 18 mesi possa avere un forte effetto inflattivo anche nel medio-lungo termine – con dichiarazioni periodiche che bollano il rialzo dei prezzi come “transitorio” – nasconde probabilmente una ragione che va oltre la volontà di rassicurare i mercati.
Uno Stato fortemente indebitato (o con limiti di debito che è spesso costretto ad alzare, come nel caso degli Stati Uniti) ha tutto l’interesse a mantenere alta l’inflazione quando i tassi d’interesse restano bassi: in questo modo con il passare degli anni il disavanzo pubblico viene eroso dalla svalutazione della moneta.
L’economista Carlo Cottarelli, presidente dell’Osservatorio conti pubblici italiani, è molto chiaro:
“Un’inflazione di 4 punti percentuali superiore rispetto alle attese ridurrebbe il rapporto tra debito pubblico e Pil di circa 16 punti in 5 anni“
Di fatto, nel lungo periodo l’inflazione favorisce i debitori e penalizza i creditori e non serve un economista per affermare che i più grandi debitori del mondo sono proprio gli Stati. Chi sono i creditori? Beh, se avete titoli di Stato, siete voi.
Cos’ha a che fare tutto questo con Bitcoin? La creazione di Satoshi Nakamoto nasce anche e soprattutto per contrastare apertamente il sistema finanziario tradizionale improntato sulla crescita a debito e sull’inflazione costante.
Bitcoin Standard: un nuovo paradigma
Riserva di valore
Immediatamente dopo la comunicazione del dato relativo all’inflazione Usa di ottobre il bene rifugio per eccellenza, l’oro, è balzato del 2%. Bitcoin, che è scarso e in prospettiva sarà finito ed è quindi spesso accostato all’oro, è cresciuto del 2,7%.
Peraltro, da un recente report di JP Morgan, pare che bitcoin stia lentamente rimpiazzando l’oro come riserva di valore preferita dagli investitori istituzionali:
Il riemergere delle preoccupazioni per l’inflazione ha rinnovato l’interesse per l’uso del bitcoin come copertura contro il rialzo dei prezzi. Sembra che gli investitori istituzionali si stiano rivolgendo al bitcoin, forse vedendolo come una migliore garanzia contro l’inflazione rispetto all’oro.
Per monitorare i progressi di bitcoin esiste persino un sito che controlla la variazione del valore del bonus da $1200 versato dal governo ai cittadini statunitensi lo scorso anno, nel caso in cui questo fosse stato investito nella più nota criptovaluta: oggi varrebbe quasi dieci volte tanto.
Adozione globale e unità di conto
- Apprezzamento: attraversamento di un lungo periodo in cui l’asset vede crescere il suo prezzo venendo man mano adattato globalmente come riserva di valore. Una fase che può durare molti decenni e di cui non ci troviamo che all’inizio.
- Unità di conto: una volta diventato riserva di valore globale, bitcoin godrebbe di una capitalizzazione tale che per farne variare significativamente il prezzo servirebbero movimenti da migliaia di miliardi. Come metro di paragone, basti pensare che ancora oggi la criptovaluta vale solamente un decimo dell’oro. Insomma, la volatilità sarebbe ridotta all’osso e bitcoin potrebbe fungere da unità di conto grazie alla sua stabilità.
Critiche
Come anticipato nell’introduzione, per gli esperti del settore Bitcoin potrebbe rappresentare una valida alternativa all’economia tradizionale qualora ne diventasse lo standard. Uno scenario ipotetico caratterizzato da due fasi:
I critici del Bitcoin Standard sostengono, a ragione, che fare affidamento su un asset in continuo apprezzamento presenterebbe due problemi fondamentali che porterebbero alla recessione:
- Prestiti insostenibili: con il valore di una moneta in costante crescita, anziché costante discesa come le valute fiat, i debiti diverrebbero sempre più gravosi per chi li contrae e di conseguenza il mercato del credito subirebbe un forte arresto, rallentando l’economia.
- Risparmio eccessivo: i consumatori sarebbero incentivati a risparmiare il più possibile nell’attesa di un apprezzamento della moneta, causando un crollo della domanda e una conseguente recessione deflattiva.
Simili critiche non tengono conto del fatto che, come anticipato, il Bitcoin Standard avrebbe davvero effetto solo una volta che il prezzo della criptovaluta si fosse stabilizzato nei decenni. Per cui, in linea teorica, un debito non diverrebbe necessariamente insostenibile e non si sarebbe più restii ad acquisti e investimenti. Più attenti, forse, perché in caso di crisi e fallimenti di banche o grosse istituzioni non sarebbe possibile emettere nuova valuta dal nulla così come accade oggi.
Un modello vincente che rimpiazzerà il sistema finanziario contemporaneo? Troppo presto per dirlo. Certo è che si tratterebbe di uno scenario senza precedenti nella storia umana.
Questo articolo è tratto dalla newsletter Bitcoin Train, consultabile qui.