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L’ansia è il male del nostro secolo ma trovare la luce è possibile

Vincere la paura in un mercato così incerto è possibile?

Sei seduto in ufficio davanti al tuo pc. È un giorno come tutti gli altri. Il collega seduto qualche metro più in là nella sua postazione. La luce entra debole dalla finestra. In sottofondo la voce lontana di qualcuno che risponde al telefono e il suono delle dita che digitano sulla tastiera. È un giorno come tutti gli altri.

All’improvviso il tuo spazio abituale diventa un labirinto senza uscita, ti sembra di fluttuale dentro la tua testa, sei in un tunnel che ti porta sempre più lontano dalla realtà. Sudi, ti gira la testa, hai paura di morire, pensi a tutto e a niente. Vorresti aggrapparti a qualcosa e uscire da quello spazio liquido che ti soffoca ma non c’è niente che puoi fare perché quella sensazione non la controlli. È lei che ti controlla.

Il male del nostro secolo

È il male del nostro secolo: l’ansia. Si manifesta con attacchi di panico, crisi esistenziali e paure incontrollabili. Negli ultimi due decenni il modo di vivere il disagio è molto cambiato all’interno della società. I Nirvana, nell’immortale Nevermind, esprimevano perfettamente il disagio generazionale degli anni ‘90. La depressione era diventata il sentimento dominante, Smells like teen spirit la colonna sonora e il Prozac il farmaco simbolo di quel decennio.

Dopo il duemila, invece, la depressione ha lasciato spazio all’ansia e il Prozac alle benzodiazepine: si è passati dall’antidepressivo al sedativo. Quella in cui stiamo vivendo è una società post-depressa, che non fa in tempo a vivere il male e analizzarlo perché è costantemente bombardata da stimoli, novità e informazioni.

Tutto questo avviene in un momento storico in cui tutte le certezze edificate nell’ultimo secolo vengono messe in discussione: il capitalismo, la democrazia, i diritti civili, il progresso. E alla fine non si sa che fare, se andare avanti o tornare indietro, girare a destra o a sinistra, e si rimane paralizzati a guardare un mondo che cambia troppo velocemente, in cui non ci sono più punti fermi.


Le persone preferiscono stare all’erta piuttosto che cercare nuove avventure, si ritagliano uno spazio sicuro piuttosto che buttarsi nell’affascinante enigma dell’incognito.

Tra poli opposti e incertezze

In questo contesto l’essere umano si trova costantemente tra poli opposti, costretto a mostrarsi positivo e spensierato sui propri social mentre il mondo reale è sempre più negativo e stressato. È una società che ci vuole sempre più proattivi, performanti, svegli e spietati ma al contempo portatori di buoni sentimenti, valori e umanità. Come essere il diavolo e l’acqua santa insieme, il comunismo e il capitalismo, i Beatles e i Rolling Stones, etero e gay, mare e montagna. Ovviamente è impossibile stare al passo con tutto ciò: Lexotan, Xanax e altri psicofarmaci diventano gli alleati imprescindibili.

Secondo un rapporto di True Numbers negli ultimi dieci anni c’è stato un aumento del 32,5% del consumo di antidepressivi in Italia. Una buona parte di questi “nuovi consumatori” sono spesso lavoratori, soprattutto autonomi, che vengono sopraffatti dalla paura di non farcela in un mercato sempre più incerto.

La sfera individuale e quella collettiva

Il panico e le insicurezze emergono generalmente in due sfere: quella individuale e quella collettiva.

La prima, forse quella più irrazionale, riguarda il disperato tentativo di definire il proprio io e trovare la propria verità, in un mondo che bombarda di informazioni e non dà il tempo di connettersi alla propria interiorità. Se tutto va così veloce e cambia in continuazione com’è possibile appassionarsi a qualcosa e trovare il proprio posto nel mondo?

La seconda, quella collettiva, è nella destabilizzazione che crisi economiche, attacchi terroristici e precarietà lavorativa hanno creato. Uscire dal proprio guscio e buttarsi incoscienti nel mondo, come ogni giovane dovrebbe fare, è diventato sempre più difficile. Stay hungry, stay foolish” diventa uno slogan già datato e le persone preferiscono stare all’erta piuttosto che cercare nuove avventure, si ritagliano uno spazio sicuro piuttosto che buttarsi nell’affascinante enigma dell’incognito.

Aggiustare la propria connessione

Per una volta bisognerebbe staccare quella wi-fi e aggiustare la propria connessione interiore, lasciando fuori tutto ciò che ci sopraffà e ci riempie di pensieri inutili e dannosi.

Il termine “ansia” è ormai diventato così popolare (e forse abusato) che su riviste e siti web spopolano articoli che dispensano consigli su come sconfiggerla. È buffo leggere cose come “cerca di calmarti” o “pensa positivo” come se quello dell’ansia fosse un tasto che si può spegnere da un momento all’altro.

La verità è che non siamo smartphone e non rispondiamo a comandi preimpostati, nonostante la digitalizzazione del lavoro ci porti sempre di più verso quella direzione. La verità è che siamo un agglomerato di desideri ed emozioni che, se repressi, prima o poi vengo fuori e ci travolgono in modo violento.

L’ansia va vista non come un male in sé, come se fosse il demone da sconfiggere, ma piuttosto come il suo messaggero che ci viene a dire che qualcosa non va, che stiamo vivendo la vita che non vogliamo.

All’uomo di questo secolo viene facile farsi trascinare dal “socialmente giusto” piuttosto che sviluppare i propri interessi. I social in principio avevano lo scopo di far emergere l’eterogeneità della società ma hanno finito per appiattirne il pensiero. Siamo così finiti a seguire i binari prestabiliti del “socialmente cool” e del mainstream che tanto ci fa sentire al sicuro. In realtà è molto pericoloso perché ci allontana dal nostro vero io, che prima o poi farà di tutto per venire fuori.


Nonostante internet e gli smartphone oggi abbiamo bisogno degli altri più che mai.

Il ruolo del mercato

Parlando di lavoro si ha la sensazione di uno scenario ancora meno incoraggiante: la crisi ha danneggiato più i nostri spiriti che il nostro PIL.

Molti studi hanno dimostrato che il contrario della tossicodipendenza non è la sobrietà, come si potrebbe pensare, ma la compagnia, la condivisione. Allo stesso modo il contrario dell’ansia non è la calma ma la connessione col proprio io e con gli altri. Avere dei punti di riferimento per un lavoratore è fondamentale per non sconfinare in stati ansiosi o depressivi che in molti casi portano anche a gesti estremi.

L’unico modo per sfuggire all’ansia è trovare le connessioni che ci fanno bene. Non è un percorso facile, ma sapere questo è già un punto di partenza. Le connessioni che ci fanno bene sono quelle con i nostri interessi, con quello che fa brillare la luce dentro di noi, con le persone che stimiamo, con chi può capire la nostra condizione lavorativa e i nostri problemi.

Non rimanere soli in un mondo tumultuoso è l’unico modo per farcela:
nonostante internet e gli smartphone oggi abbiamo bisogno degli altri più che mai.

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