In Italia i diritti sono uguali per tutti, ma per alcuni sono più uguali
Questa è la storia di Mario, imprenditore quarantenne del sud Italia. Mario da qualche anno gestisce una piccola realtà nel settore della ristorazione. La avvia nel 2016 insieme alla propria compagna, riuscendo a unire la sua passione per il cibo biologico a quella per il coffee&bar. La coppia si fa presto conoscere a livello locale per la cura verso i clienti, la dedizione al lavoro e per l’originalità dei propri prodotti, nonostante le dimensioni ridotte dell’azienda.
Sempre nel 2016 Mario decide di assumere una donna di 50 anni, più per compassione che per le capacità lavorative. La donna in questione versa infatti in una situazione familiare molto difficile: un marito alcolizzato, un figlio tossicodipendente e un altro figlio disabile.
Pur sapendo di non poter fare affidamento su di lei come dipendente specializzata, il piccolo imprenditore non solo decide di assumerla ma dopo qualche tempo si fa anche carico delle spese per inserire il figlio tossicodipendente in una comunità di recupero in Lombardia. Convince anche la donna a liberarsi del marito alcolista che in casa non fa che peggiorare la situazione.
La famiglia sembra aver ritrovato la stabilità. Durante il giorno il figlio più piccolo, che soffre di autismo, frequenta un centro di igiene mentale e la donna ha tutto il tempo per dedicarsi al lavoro. Quello di Mario è un esempio di umanità di cui solo pochi imprenditori sono capaci.
Purtroppo però non viene ripagato con la stessa moneta dalla sua dipendente che, forte della legge 104 di cui può usufruire grazie al figlio, decide di prendere due anni (e ripetiamo: due anni!) di congedo straordinario INPS.
Mario poco dopo, però, scopre che la sua dipendente ha preso questi i due anni di congedo per accudire la madre e non per il figlio, che passa la giornata come sempre al centro di igiene mentale e che quindi non avrebbe bisogno di cure diurne.
Lungi dal giudicare le difficoltà della donna e senza voler mancare di compassione verso la sua situazione familiare, ci troviamo sbalorditi dal sistema che permette tutto questo. Probabilmente anche agendo per vie legali Mario si troverà a dover pagare comunque due anni per una dipendente che effettivamente non lavora, versandole contributi e pensione. Una dipendente che sfrutta la legge 104 non per il figlio disabile, che ne avrebbe diritto, ma per un altro membro della famiglia.
È vero, spesso ci sono situazioni che non possiamo capire, e in questo spazio non giudichiamo mai chi si trova davanti a difficoltà umanamente comprensibili.
Ma le difficoltà dei lavoratori autonomi perché non vengono mai prese in considerazione? Non sono anch’essi lavoratori?
Per quanto ci riguarda abusare di un diritto è un reato.
Che verrà perseguito o meno, ci auguriamo che la situazione in questo paese cambi e che l’eccessivo zelo nei confronti dei lavoratori dipendenti sia affiancato da uguali tutele anche per gli autonomi.
Pagare due anni un dipendente assente quando si è proprietari di una piccola azienda non solo mette in grande difficoltà il singolo imprenditore, ma lede lo spirito d’iniziativa della collettività.